Riusciva a sovvertire/sovvertirsi in un senso di appartenenza alla forma dei suoi immaginifici ritratti di donna e dei paesaggi dei suoi inizi – inizi che non hanno una vera collocazione storica riferendosi all’essere nato già sapendo della pittura – e ritrovarsi dentro un’improvvisa stesura dell’immagine simbolica. La terra, come il resto, si abbandona, si respinge e si trattiene, ed è in questo luogo senza estremità, mai deposto, che il suo segno viveva innovando e cristallizzando.
A Genova, dove ha abitato dal 1982 al 1988, nasce l’amato figlio Gabriele e nella sua casa-studio popolatissima sono cresciute sintonie artistiche e progettuali che Castiglia non ha mai dimenticato.
Viaggiando negli anni successivi lui stesso e le sue opere fra Austria, Francia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Italia la traccia del suo pennello continuava a premere sull’anima con una potenza trasformatrice che, come la prima volta che lo guardavi dipingere, era capace di destrutturare le visioni portate dentro fino ad allora.
Ma è la Sicilia il suo luogo vivente dove riusciva a scovare il passo dalle sensazionali viscere dell’ archetipo nella recente mostra di Palermo agli ultimi lavori, quasi in volo.
La sua melancolia sovvertitrice, il suo occhio mai domato e mai dominante, non cederanno alla finzione né alla sua scomparsa.